La Corte di Cassazione ha precisato i limiti entro i quali si estende il diritto a servirsi della cosa comune da parte dei singoli componenti della comunione, statuendo in generale che “la nozione di pari uso della cosa comune, cui fa riferimento l’art. 1102 cod. civ., seppur non vada intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, implica, tuttavia, la condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al princìpio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione” e, in particolare, che “il proprietario di vani terreni di un edificio in condominio può, perciò, aprire porte di comunicazione tra tali vani e il contiguo cortile comune, ovvero per accedere ai primi dalla via pubblica, pur se non uno o più dei detti vani siano già serviti da autonomo ingresso dalla stessa via, rientrando ciò nella facoltà di ciascun condomino di utilizzare la cosa comune per il miglior godimento della stessa, anche apportandovi opportune modificazioni, sempre che non ne risulti alterata la destinazione e ne sia impedito agli altri condomini di farne parimenti uso secondo il loro diritto” (si cfr. Cass. Civ., Sez. III Civ., ordinanza 24 novembre 2020, n. 26703)
Ad avviso del Giudice Amministrativo, investito della questione relativa al termine di prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito promossa dal G.S.E., “l’azione di recupero di somme